La critica moderna ha veduto
nel non-finito della scultura di Michelangelo il momento supremo dell’arte che
travalica il proprio limite tecnico. Si poteva sentirlo al tatto nel trapasso
dal liscio al ruvido e allo scabro, nella dissolvenza del fermo chiaroscuro in
vibrazioni di luce; e quella qualità non era solo della scultura ma di tutta
l’arte, infatti appariva con altro sembiante nella composizione della pittura e
nella progettazione dell’architettura. Non era questione di desinenze ma di
struttura. Come procedimento connesso a una nuova concezione dell’arte, segnò
una svolta radicale: chiuse il ciclo dell’arte classica, di rappresentazione, e
aprì quello dell’arte moderna, come espressione di stati dell’esistenza.
(Dalla Presentazione di Giulio Carlo Argan)
La grandezza e l’attualità di
Michelangelo non si misurano solo dalle sue opere ma dall’intera sua vita: fu
artista celebrato, invidiato, corteggiato e infine divinizzato, che tenne testa
a papi e principi, ma fu anche uomo profondamente solo e angosciato, pieno di
contrasti irresolubili, che incarnavano la solitudine dell’uomo moderno. Pur
immerso nelle angosce e nelle speranze della sua epoca, Michelangelo sembra
trascendere il tempo per parlare, anche all’uomo d’oggi, di eros e salvezza, di
malinconia e titanismo, di peccato ed eternità, di perfezione e incompiutezza,
di sofferta vitalità e di un’amara, sconsolata meditazione sullo scorrere del
tempo e la fine delle cose. Michelangelo non smette di suscitare insieme
problemi e ammirazione, come il suo autore più amato, Dante, i cui versi
conosceva a memoria e che certo procurò in lui un’agonistica emulazione.
(Dal saggio di Claudio Gamba)
Vai
alla pagina nel sito del «Corriere della Sera»