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Antologia di giudizi sull'opera di Argan

Giudizi sparsi 1930-94 / Testimonianze 1992-93

 

 

Anna Maria Brizio a Adolfo Venturi (Torino,1 maggio 1930): «Caro Maestro, / Le ho fatto spedire oggi il III fascicolo de l’Arte. Ma — da buona redattrice — non mi arresto e penso al seguito. […] Per il fascicolo di luglio c’è già in redazione anche un articolo sulla critica del Palladio di Carlo Argan, un laureando intelligentissimo, che mi pare assai buono. Forse il prof. Lionello gliene avrà parlato. […] Affettuosi e rispettosi saluti / Anna Maria Brizio» (dalla lettera pubblicata in L. Ficacci, Nel centenario della storia dell’arte, in Studi in onore di Giulio Carlo Argan, Nuova Italia, Firenze 1994, p. 53).

Arnaldo Momigliano a Ernesto Codignola (Roma, 19 novembre 1931): «Illustre professore, / Mi permetto di approfittare della Sua bontà non per me, ma per un mio amico di Torino, il dr. G. C. Argan, che Ella conoscerà certamente di nome, perché è collaboratore della Nuova Italia [la rivista «La Nuova Italia»]. L’Argan desidererebbe sapere se Vallecchi o La Nuova Italia sarebbe disposto ad affidargli un manuale di storia dell’arte per le scuole. Senza voler fare delle gonfiature, non so chi oggi dei giovani studiosi abbia la preparazione dell’Argan, come dimostrano i suoi saggi sul Palladio, sulla scenografia, sull’architettura novecentista comparsi sull’Arte e il saggio sul Botticelli comparso in Cultura, nonché il maggiore lavoro sui trattatisti dell’architettura cinquecenteschi a cui sta attendendo e di cui ha completa e di imminente pubblicazione la parte sul Serlio. Le posso aggiungere che uno studioso come il Panofsky noto per la sua severità mi esprimeva tempo fa la sua ammirazione per i lavori di questo giovane […] / Arnaldo Momigliano» (lettera pubblicata in Una Casa Editrice tra società, cultura e scuola. La Nuova Italia 1926-1986, a cura di Alessandro Piccioni, La Nuova Italia, Firenze 1986, p. 59).

La libera docenza: Relazione della Commissione giudicatrice per il conferimento della libera docenza in storia dell’arte medioevale e moderna: «La Commissione si è radunata in Roma, presso la Facoltà di Lettere della Regia Università degli studi nei giorni dal 12 al 17 novembre 1934-XIII. Constatata la regolarità dei documenti prescritti, ha preso in esame i titoli presentati dal dott. Giulio Carlo Argan, e ha deciso di ammetterlo alle prove orali. / Il dott. Argan, laureato in Lettere con lode nella R. Università di Torino il 1931, ha successivamente conseguito l’abilitazione all’insegnamento della storia dell’arte nei Licei, ha vinto la borsa di studio del corso di perfezionamento in storia dell’arte e della Fondazione Venturi, ha ottenuto un sussidio della Direzione Generale dell’Istruzione Superiore per un viaggio all’estero, ha collaborato alla redazione del Catalogo degli oggetti d’arte, per un anno scolastico ha prestato servizio come assistente volontario alla cattedra di storia dell’arte del Rinascimento e moderna nella R. Università di Roma. Nel 1933, infine, ha conseguito per concorso la nomina ad Ispettore nel ruolo delle antichità e belle arti, prestando successivamente servizio presso la R. Soprintendenza dell’arte medioevale e moderna in Torino e presso la R. Galleria Estense di Modena, dove trovasi attualmente. / Egli presenta al giudizio della Commissione un numero piuttosto esiguo di pubblicazioni non aventi una grande mole, ma rivelanti tutte una profonda preparazione e una viva preoccupazione di risalire attraverso le singole opere alla natura del fenomeno artistico. Le manifestazioni contingenti egli si studia di coordinare e vagliare per trarne fuori una determinazione approfondita delle cause operanti sullo spirito dell’artista e per ricostruire in unità i caratteri del lavoro creativo. Indagine ardua, che può portare a conclusioni arbitrarie se non è sorretta da una salda capacità di ragionamento, da lunga informazione, e da una sicura e diretta conoscenza dell’opera d’arte. Il dott. Argan, per l’appunto, sfugge al pericolo di fondare le sue costruzioni sul vuoto grazie alla vasta cultura e al coscienzioso lavoro d’indagine. Se talora i suoi scritti appaiono poco chiari e stentati nell’elocuzione, conclusioni originali compensano quasi sempre della faticosa lettura. / In modo particolare egli s’è interessato di questioni attinenti all’architettura, come fanno fede i saggi sul Bramante, su Sebastiano Serlio e Andrea Palladio e gli scritti brevi, ma profondi, sull’architettura piemontese del seicento e del settecento. In altri articoli si è occupato con originalità di particolari argomenti relativi al Botticelli e al Tiepolo, e ha dimostrato limpidità di giudizio in soggetti di arte contemporanea. L’amore per le questioni teoretiche lo ha portato anche a ricercare con acutezza i caratteri della critica d’arte Veneta nel Quattrocento. / Per la lezione gli è stato assegnato il tema “Sebastiano del Piombo”. Il dott. Argan, pur non riuscendo a proporzionare armonicamente le varie parti della sua trattazione, ha dimostrato una buona conoscenza dell’argomento e un pieno possesso della bibliografia anche recentissima, dando prova nel complesso di attitudini dialettiche. / Pertanto la Commissione, unanime, è lieta di riconoscere la maturità del dott. Giulio Carlo Argan per il conseguimento della libera docenza in storia dell’arte medioevale e moderna. / La Commissione: Pietro Toesca, presidente, / Antonio Munoz / Achille Bertini Calosso, relatore» (in «Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Educazione Nazionale», II - Atti di amministrazione, a. LXII, vol. II, n. 29, 18 luglio 1935, pp. 3215-3216).

 

 

Giudizi sparsi in libri e riviste

Giuseppe Pagano, 1940: «Ben pochi scrittori d’arte antica hanno la competenza tecnica e la sensibilità critica adatta per assumere l’autorità e la responsabilità di un giudizio definitivo sull’arte contemporanea. E quei pochi che si salvano e che dimostrano questa rarissima elasticità mentale tra la cultura e la vita come un Marangoni o un Argan non si salvano soltanto per una loro più completa preparazione tecnica ma soprattutto per il rigore del metodo identico che essi applicano nella critica d’arte sia essa antica o modernissima; e, in definitiva, per il loro atteggiamento vivo che non distingue limiti di date nella necessaria responsabilità morale assunta dal critico per giustificare a se stesso e agli altri la ragione di un giudizio» (in «Costruzioni-Casabella», n. 150, poi in Architettura e città durante il fascismo, a cura di C. De Seta, Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 204-205).

Sergio Lodovici, 1942: «Giovanissimo critico di solida preparazione filologica, tuttavia animato dal moderno spirito di irrequietezza e di ricerca, l’Argan arriva alla considerazione dell’arte non dalla periferia ma dal centro. Le premesse della sua critica sono infatti da ricercarsi in una concezione organica della storia e del prodursi della civiltà tutta. Nell’economia della storia nulla va perduto: elementi insospettati poi fruttificano, cifre chiuse alle quali l’erudito sembra rimproverare la fatica della ricerca, si svelano feconde e piene di futuro. Per arrivare alla determinazione stilistica, alla qualità effettiva dell’opera d’arte, il critico si vale di tutti i mezzi diretti e indiretti: mettiamo, ad esempio, tra i diretti, “l’osservazione analitica circonstanziata del monumento architettonico” (l’Argan si occupa prevalentemente di architettura, cioè dell’arte fin adesso meno studiata e più irta di difficoltà), condizione indispensabile per giungere al possesso dell’opera d’arte stessa; come anche del trattato teorico nel quale il costruttore ha espresso con le sue formule anche le sue preferenze. In effetti, l’opera migliore dell’Argan è diretta a un sottile scoprimento delle parti vitali delle teoriche artistiche, al percorrimento di quei labirinti inestricabili che sono i trattati per rintracciare ivi la genuina anima dell’artista. […]  l’analisi serrata condotta sulle opere dal Quattrocento all’Ottocento, spesso fissando posizioni critiche affatto nuove, vuol essere una riprova della validità del metodo alla concreta costruzione storica. Ammettendo di ogni fatto artistico, purché realizzato, l’identica validità storica, la coscienza critica dell’Argan non può evidentemente distinguere tra arte antica e arte moderna; nella quale è da portarsi, ed effettivamente porta, lo stesso rigore di giudizio. […] È infatti ancora il rapporto di arte e morale — inteso, naturalmente, al di fuori di ogni contenutismo — l’oggetto del più recente pensiero critico dell’Argan; e in particolare, della sua riflessione sull’arte contemporanea» (Argan Giulio Carlo, in Storici, teorici e critici delle arti figurative (1800-1940), Enciclopedia Biografica e Bibliografica Italiana, Tosi, Roma 1942, pp. 33-34).

Pierre Francastel, 1950: «G.C. Argan ha recentemente dimostrato in un bell’articolo il significato estetico e spaziale della cupola [...] L’Argan ha luminosamente dimostrato come, per edificare la cupola senza armature, il Brunelleschi non abbia soltanto inventato nuovi espedienti tecnici, ma abbia introdotto una nuova concezione estetica dello spazio, e proprio in funzione di essa si spiega la soluzione empirica data al problema tecnico del legamento dei materiali» (Peinture e société, 1950, ed. It.: Lo spazio figurativo dal Rinascimento al cubismo, Einaudi, Torino 1957, traduzione di A. M. Mazzucchelli, p. 27).

Italo Calvino a Carlo Muscetta (Torino, 26 ottobre 1953): «Siamo contenti del numero [della rivista «Società» di settembre] che abbiamo letto tutto, discusso e commentato. Forse Bollati t’avrà già scritto il suo parere. Il saggio di Argan [su Il moralismo di Picasso], tra i tanti che se ne sono letti quest’anno è forse quello che va più a fondo, che ricava dalla molteplicità degli aspetti una fisionomia unitaria, una definizione convincente» (in I. Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, Mondatori, Milano 2000, pp. 382-383).

Rudolf Wittkower, 1958: «Vale la pena cercare un comune denominatore per questo modo di trattare una categoria importante delle immagini religiose barocche. La tecnica di questi artisti è quella della persuasione a ogni costo. La persuasione è l’assioma centrale della retorica classica. In uno scritto illuminante G. C. Argan ha perciò giustamente messo in rilievo il forte influsso della Retorica di Aristotele sulla procedura barocca» (Art and architecture in Italy: 1600 to 1750 [1958], ed. It. Einaudi, Torino 1993, p. 122).

Corrado Maltese, 1964: «Una posizione avanzata nel processo di storicizzazione integrale e quindi di individuazione di tutti i riferimenti sociologici dell’opera d’arte occupa l’attività multiforme di Giulio Carlo Argan. Dotato di una eccezionale capacità di lettura dei valori concettuali e dei riferimenti culturali impliciti nella forma artistica e in primo luogo in quella architettonica, nei suoi studi su Brunelleschi, sull’Angelico, sul Botticelli, sull’architettura del Sei e Settecento e su quella contemporanea ha costantemente introdotto una coscienza viva e dialettica dei nessi tra operare artistico e divenire politico-sociale» (voce Sociologia dell’arte, in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. XII, Venenzia-Roma 1964, col. 679).

Marisa Dalai, 1966: «[Quelli degli anni Cinquanta] sono saggi in più casi fondamentali, dove la messa a punto delle condizioni storico-culturali e tecnico-sociali del fare artistico diviene elemento determinante ai fini dell’individuazione dell’atto creativo, liberamente colto, al di là di ogni aprioristico categorismo formalistico, in una sempre diversa dimensione insieme formale e concettuale, coincidente con la Weltanschaung propria di ogni artista (la nuova spazialità  matematica per il Brunelleschi; la naturalistica spazialità in espansione per il Bernini e la simbolica concentrazione spaziale per il Borromini; l’intuizione fenomenologica dello spazio in Nervi)» (voce Argan Giulio Carlo, in Grande Dizionario Enciclopedico, Utet, terza edizione, vol. II, Torino 1966, pp. 119-120).

Bruno Zevi, 1977: «Nel 1936 uscì un libretto, L’architettura protocristiana preromanica e romanica, cui seguì, l’anno dopo L’architettura italiana del Duecento e Trecento. Spalancarono un mondo. Certo, gli edifici erano letti sub specie pittorica, quasi che ogni superficie fosse un quadro e ogni spazio una “massa atmosferica”; ma l’individuazione del gioco di quadri e masse era così acuta da incentivare una svolta critica. […] L’intelligenza critica di Argan è sconfinata. Non riguarda soltanto Palladio, Brunelleschi, Borromini, Gropius, ma anche alcuni gesti specifici, ad esempio quello di Carlo Maderno nell’aula di Santa Maria della Vittoria. Quando non si è d’accordo con lui (sull’op-art rispetto alla pop-art, sul valore della tipologia, sul classicismo, sulla fine dell’arte, sul comunismo, sulla seconda università a Tor Vergata, sulle direttive urbanistiche per Roma, e via dicendo) gli si è sempre solidali, perché i suoi errori sono il prezzo di una lucidità che scruta e illumina persino i risvolti della verità. Non basta: la sua è un’intelligenza generosa, pervasa da una umanità capace di coinvolgerti, da Rio a Roma, sul tema della morte. Il guaio sono gli “arganiani”? Ma che colpa ne ha lui, se quelli non vogliono soffrire?» (in Zevi su Zevi, Magma, Milano 1977, nuova ed.: Marsilio, Venezia 1993, p. 123).

Nello Ponente, 1979: «[in Argan] pensiero critico e attività politica sono due momenti legati da nessi di profonda consequenzialità. È questo che distingue Argan da altri pur grandissimi storici dell’arte del nostro secolo, da un Erwin Panofsky per esempio, di cui pure egli ha attentamente considerato la metodologia, mettendola a frutto e trasformandola proprio nella considerazione del rapporto e delle interferenze tra le strutture e sovrastrutture; da un Pierre Francastel, che pure queste interferenze aveva sottolineato, ma dal quale Argan si distacca per una più ampia e globale visione dell’attività artistica, non più ritenuta momento privilegiato ma sottoposta anch’essa, in negativo e positivo, e direi proprio all’interno di una dialettica assimilabile a quella del materialismo storico, ai contrasti e ai conflitti. [...] Argan non avrebbe mai potuto accettare il criterio dell’oggettività della storia, quale parametro fisso di riferimento e, di conseguenza, limitare la propria ricerca al riconoscimento di un “valore” o al riconoscimento meccanico del prodotto. Proprio in questo consiste quella continua sollecitazione a cui egli ha sottoposto la sua metodologia. […] Anche per questo lo storico dell’arte doveva essere, come è stato, il critico militante impegnato nella difesa dei principi sperimentali dell’arte moderna e della unitarietà della sua fenomenologia […] E al tempo stesso doveva essere, come è pur stato, il funzionario dell’amministrazione delle Belle Arti, lo studioso dei problemi relativi alla tutela e alla riorganizzazione di tutto il settore dei beni culturali, il docente universitario capace di trasmettere questo stesso impegno e, con assoluta consequenzialità, ripeto, il sindaco di una città in cui proprio gli interessi privati, la speculazione selvaggia, il caos urbanistico, non solo hanno prodotto guasti irreparabili al patrimonio artistico, ma hanno anche ridotto la “produttività” culturale» (Più di mezzo secolo d’amore coi grandi maestri dell’arte. Giulio Carlo Argan compie settant’anni: rivisitiamone l’intensa vita, in «Paese Sera», 17 maggio 1979).

Manfredo Tafuri, 1982: «Nel ’51 Giulio Carlo Argan risponde implicitamente al disegno contenuto nella Storia zeviana con un volume pubblicato anch’esso da Einaudi, dedicato a Walter Gropius e la Bauhaus. Non si tratta di una contrapposizione di linee normative. Il Gropius ricostruito da Argan è erede dell’etica protestante così come viene interpretata da Weber e da Troeltsch, è portatore di un mito europeo della ragione “che reca in sé i germi del dubbio e del disinganno”, è protagonista di un salvataggio in extremis “di un’idea di civiltà dall’inevitabile collasso della classe dirigente”. La “razionalità” di Gropius, come quella di Le Corbusier o di Mies preciserà più tardi Argan nasce “da un’ultima illusione d’immunità portata nel vivo della mischia”, dato che il concetto moderno di libertà non è più identificabile con una “sconfinata effusione nell’immenso dominio della natura”; la fedeltà a quella lezione, già data come perdente sul piano ideologico, è considerata un’imprescindibile necessità. Difficile lettura, quella di Argan, per la cultura italiana dei primi anni cinquanta. Considerate con un rispetto proporzionale all’incomprensione, le pagine di Argan formano un’elite di giovani storici, ma, come quelle di Zevi, non modificano sostanzialmente la vicenda architettonica» (in Storia dell’arte italiana, vol. VII, Einaudi, Torino 1982, poi edito come libro a sé stante: Storia dell’architettura italiana 1944-1985, ivi, 1986, p. 30).

Filiberto Menna, 1984: «…la matrice del pensiero di Argan è di natura criticistica, come lui stesso ha detto in più di un’occasione, ma bisogna subito aggiungere che il criticismo di Argan e la razionalità che ne deriva sono continuamente posti al confronto con una realtà ambigua e sfuggente come quella dell’arte e delle opere d’arte. È questo confronto costante che conferisce una connotazione particolare al razionalismo di Argan e fa del suo criticismo uno strumento flessibile, aperto alle contraddizioni del reale, finanche consapevole della propria provvisorietà. […] l’incontro con Klee si ricollega all’incontro con Husserl che nell’itinerario intellettuale di Argan segna un momento non meno decisivo, il luogo in cui la razionalità critica di derivazione settecentesca subisce una specie di sprofondamento, s’intreccia più direttamente e inestricabilmente con la totalità del soggetto, conscio e inconscio. Anche il progetto, produzione paradigmatica della ragione, cambia di segno, retrocede, per così dire, a uno stadio anteriore, più magmatico e contraddittorio, quindi più complesso e più ricco, potenzialmente aperto a costruire una ragione diversa, o come si direbbe oggi, un nuovo stile di razionalità. […] Attraverso Klee e Husserl il concetto di razionalità, che guida Argan nella interpretazione dell’arte moderna, acquista in complessità e in articolazione fino a superare quello che è stato definito “il modo razionalistico di intendere la ragione”. Il soggetto si riconosce come portatore di una razionalità legata a una costruzione nel tempo che ha una sua temporalità storica, ad un processo lento e discontinuo di emersione dal e dentro il mondo della vita. Il soggetto riconosce quindi la discontinuità e la precarietà della propria autoconsapevolezza, la discontinuità e la precarietà della stessa ragione, ma nondimeno sa di non poter che affidarsi ancora ad essa» (Argan o della ragione critica, in «Le Arti news», a. II-III, n. 5-6 1983 - n. 1 1984, p. 6).

Alvar Gonzalez Palacios, 1990: «Davanti a chi mi trovo? Chi è questo signore compito e cortese che sfugge con scienza arcana le mie domande e segue il filo elegante del suo pensiero rispondendo con garbo solo a quello a cui gli interessa rispondere? L’abilità è somma; si direbbe che il Professor Argan sia l’ultimo dei grandi dialettici, una sorta di esercizio vivente di mirabile retorica. Dico questo senza ironia alcuna: ero pronto — trovandomi io su un fronte molto diverso del suo — a non farmi incapsulare nella crisalide dei suoi ragionamenti ma — è gioco ammetterlo — resto affascinato dall’intelligenza e dalla concreta sobrietà della parola, dallo scorrere di un pensiero che si svolge sotto i miei occhi con la precisione di un meccanismo perfetto. […] Non mi era prima accaduto con nessuno: l’uomo quando parla difficilmente è in grado di evitare espressioni colloquiali o che poco conto tengono della sintassi. Nulla di tutto questo ora: le frasi escono come Minerva dal cervello di Giove, armate di tutto punto. […] Questo uomo che non risponde quasi mai a quello che gli si chiede è forse un sublime egoista, un moralista, un asceta? Non sono in grado di rispondere. Posso solo aggiungere che più delle cose in se stesse egli sembra interessarsi del loro significato: è l’idea, e non l’incarnazione fisica in un oggetto singolo, quel che sembra guidarlo. […] Non ride. Questo è il personaggio pubblico. Finito il nastro della intervista che gli avevo fatto, però, mi sono trattenuto un altro poco col professore. Ho scoperto una persona, una persona che non disconosce i lati faceti delle cose» (L’ultimo dei grandi dialettici, in «Il Giornale dell’arte», dicembre 1990, riedito con il titolo Il professor Argan, in Il velo delle grazie, Allemandi, Torino 1992, pp. 171-173).

Giuseppe Chiarante, 1994: «…per Argan l’impegno civile non era qualcosa che si sommava, quasi dall’esterno, o si sovrapponeva al suo ruolo di studioso e di ricercatore; tanto meno era semplice testimonianza, o la difesa e la giustificazione propagandistica dell’iniziativa politica, secondo una visione dell’intellettuale engagé che era stata di moda subito dopo la guerra ma dalla quale non a caso Argan era sempre rimasto, e spesso anche polemicamente, molto lontano. Per lui l’impegno civile faceva invece tutt’uno con un’esigenza di costante criticità, con una fiducia quasi illuminista nella ragione, una fiducia alla quale si ispirava così nella sua ricerca di studioso come nella sua azione politica: faceva tutt’uno, in sostanza, col suo modo di intendere la civiltà e la cultura. Anche il suo accostamento al marxismo, anche la sua scelta di comunista furono caratterizzate da questo costante rigore critico. […] Nei discorsi parlamentari questo impegno civile si manifesta nel modo stesso di affrontare i temi della politica dei beni culturali. Spesso si è parlato, a questo proposito, di uno statalismo di Argan […] era in realtà altra cosa: era la domanda esigente, che il grande intellettuale, lo storico dell’arte apprezzato e conosciuto in tutto il mondo, rivolgeva allo Stato italiano e alla sua classe di governo, di essere consapevoli dello straordinario patrimonio di civiltà e di cultura che il nostro paese è chiamato a tutelare: una domanda esigente che diventava di necessità critica spietata di ogni atto di ottusità, di incultura, di grettezza, ma che al tempo stesso si traduceva sempre anche nella proposta positiva, nella ricerca della collaborazione, nello stimolo ad operare per rimuovere i guasti e per garantire nel modo migliore la tutela, la catalogazione, il restauro, tutti gli atti indispensabili per la salvaguardia di ciò che ancora poteva e può essere salvato dall’insieme dei beni culturali e ambientali che costituiscono la prima ricchezza del nostro paese» (Impegno civile e criticità della ragione nell’opera di Giulio Carlo Argan, testo scritto per la presentazione del volume Discorsi parlamentari, Roma 3 marzo 1994; in Beni culturali tutela investimenti occupazione, «Annali dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli» n. 1, Roma 1994, pp. 9-13).

 

Articoli e testimonianze 1992-93

Carlo Bertelli: «Radicato nell’arte del passato, aveva scelto di dedicarsi soprattutto allo studio dell’architettura del nostro tempo. Era nel gruppo che faceva capo a Pagano e a Persico, dove avrebbe trovato la sua sposa, Anna Maria Mazzucchelli. Nel 1951 il libro su Gropius era apparso un manifesto su quel che si dovesse fare, ma già con il pessimismo che separa il progetto dal destino. […] Nella sua non breve vita Argan aveva tentato più volte di utilizzare il politico per un proprio più vasto disegno: far scaturire elementi di liberalismo dall’azione di Bottai, attribuire a Berlinguer un modello di sviluppo compatibile con un vero “design” del Paese; questo dopo aver avuto a lungo fiducia nelle capacità di trasformazione moderna della società italiana sostenuta da socialisti come Morandi e Ruffolo. Nel 1954, al convegno tenutosi alla Triennale, Giulio Carlo Argan aveva parlato suscitando entusiasmi del design come “fattore d’integrazione sociale”; anche città e territorio sarebbero stati socialmente integrati dalla realizzazione di un considerato disegno. Ricordo una conversazione con Argan di vent’anni dopo, nel suo studio di sindaco sul Campidoglio. Mi parlò con insistenza di Amsterdam, nella fiducia che almeno alcune parti di quella civiltà pianificante e dotata di così spiccato senso pubblico potessero essere assorbite da quella Roma palazzinara e borgatara, capitale fallita, costruita fra insanabili contraddizioni. Intanto era però merito del “razionale” Argan avere istituito un assessorato per il centro storico, ben consapevole di come questa parte delicatissima della città necessiti di provvedimenti del tutto specifici, non assorbibili in uno schema generale di sviluppo» (Un illuminista in Campidoglio tra Michelangelo e Berlinguer, in «Il Corriere della Sera», 13 novembre 1992, p. 33).

Giuliano Briganti: «…la fedeltà di Argan alle proprie idee, alla propria visione delle cose, alla guida unica del razionalismo più cristallino, era indubbiamente superiore al normale. Con i pregi e con i difetti che una siffatta fedeltà ferrea e assoluta comporta. Se si deve parlare di coerenza, Argan è stato un mostro di coerenza, nonostante alcune contraddizioni molto appariscenti ma soltanto apparenti della sua lunga vita. Quando lo conobbi, in quegli anni per me generosamente immaturi sui quali si addensava all’orizzonte la nuvola nerissima della guerra imminente e che già presentivamo carica nel suo buio seno di tutte le catastrofi che poi si scateneranno su di noi, io ero legatissimo a Carlo Ludovico Ragghianti […] Argan che veniva dalla scuola di Lionello Venturi, ma aveva conosciuto Panofsky, frequentato l’ambiente degli architetti di “Casabella” (dove conobbe sua moglie), i protagonisti dell’astrattismo milanese e già si occupava del “Bauhaus”, aveva origini ben diverse, indubbiamente più “moderne”, nutrite di un rigoroso astrattismo ansioso di definirsi metodologicamente, ma, in quei primi anni, ci fu, fra loro una certa amicizia, anche se non proprio cordiale, e una stima reciproca. Naturalmente intorno a quel tavolo eravamo tutti antifascisti e Argan in quel senso si univa a noi con sincera adesione. […] Io scrissi una volta, e lui me lo rimproverò sorridendo, che quando lo leggevo non trovavo mai il filo conduttore che porta dal cervello al cuore o viceversa. Ora che non c’è più, mi affiora un ricordo che testimonia invece come la mancanza di quel filo non fosse sempre del tutto reale» (Caro Argan amico e nemico, in «La Repubblica», 13 novembre 1992, pp. 32-33).

Achille Bonito Oliva: «Egli era interessato al valore politico dell’arte e non al suo valore morale. Nell’artista cercava il suo essere partecipe, attraverso la forma, alla trasformazione e al progresso sociale. Lo schema storicista sostiene tutto il suo pensiero critico portandolo talvolta a precludersi la comprensione di fenomeni importanti: come la Pop Art americana. Il paradosso teorico di Argan sta tutto qua: teorizzare da una parte l’autonomia dell’arte ma richiedere, poi, un collegamento dell’opera e del comportamento dell’artista con le ideologie politiche della sinistra. […] Più la forma era oggettiva, non attraversata da pulsioni espressive, e più dal suo punto di vista riusciva ad ottemperare alla sua funzione di servizio sociale. E perciò, silenziosamente, negli ultimi decenni, accolse il concetto della morte dell’arte: non rintracciava, infatti, nei fenomeni dell’ultimo ventennio, tendenze artistiche in conflitto attivo con il corso della storia. […] Da qui è nato il sospetto che Argan, in fondo, non amasse l’opera d’arte, in realtà egli si impediva questo piacere, facendo prevalere un calcolato furore ideologico, il vezzo moralista di una radice calvinista. Il suo vero piacere stava, tutto sommato, proprio nel linguaggio critico. La sua scrittura cristallina, elaborata a mano con caratteri minuziosi, testimonia, alla fine, il piacere di una analisi che spesso sopravanzava il valore stesso dell’opera. E, per questa via, sfidava l’identità dell’arte mediante una “cosa mentale”: la critica» (Senza amore per l’arte, in «L’Espresso», n. 51, 20 dicembre 1992, pp. 108-109).

Rossana Bossaglia: «Argan era sì uno storico e amatore d’arte, e come tale può essere accettato o contraddetto, ma era, soprattutto, un intellettuale, e questo non è stato, salvati pochi casi, considerato a sufficienza. È come intellettuale che dobbiamo inserirlo nel contesto dei suoi interessi e dei suoi studi; come persona dalla mente acutissima e dalla bellissima ampiezza di vedute, che si poneva di fronte ai problemi sempre in maniera geniale e originale: ci ha aperto strade, indicato interpretazioni, sottoposto dubbi; non certo per il gusto della battuta o della divagazione salottiera ma nella convinzione profonda che la cultura è una sola, pur se gli specialismi sono professionalmente necessari; e la vita morale e spirituale è una sola, arte ed etica, etica e politica sono un tutt’uno. Il divario tra la qualità del suo discorso e la maniera in cui fu talora recepito (e banalizzato) si può verificare nel caso delle volgari e grezze proteste con cui fu accolta la sua riflessione posthegeliana sulla “morte dell’arte”  […] Dal coro di testimonianze che si è levato alla sua morte si evince con chiarezza che Argan aveva il dono non solo di una signorile affabilità, ma di prestare attenzione alla persona con cui si intratteneva o conversava, di stabilire ogni volta un rapporto con il suo interlocutore. Per questo tutti quelli come me che hanno avuto consuetudine con lui lo hanno sentito come un amico e lo piangono come un amico. Un uomo di potere, dicono un poco innervositi quelli che non hanno avuto la fortuna di un’intesa con lui. Ma Argan non amava il potere; amava il prestigio; il potere uno lo può agguantare, il prestigio fiorisce dalle qualità della persona» (Un maestro di nome Argan. Grandi meriti inutili polemiche, in «Il Corriere della Sera», 25 gennaio 1993, p. 17).

Enrico Crispolti: «Ciò che maggiormente ha caratterizzato il fare storia dell’arte e critica d’arte da parte di Argan è certamente stato una considerazione nuova della componente ideologica nella “poetica” dell’artista come nell’opera d’arte. Non tanto tuttavia la componente di una specifica ideologia, e in effetti neppure il marxismo negli anni a partire dal suo impegno politico-amministrativo, quanto l’attenzione alla valenza delle idee nell’opera d’arte contenute, e insomma al suo riscontro teorico. L’opera d’arte dunque non semplicemente un esito di creatività immaginativa, quanto un evento di pensiero attraverso il linguaggio visivo. […] ha portato nella storia e nella critica d’arte il peso di una verifica di consistenza teorica sull’opera quanto sulle intenzioni del suo autore, come preminente; di una verifica di consistenza di idee e quindi di visione e giudizio del mondo e specialmente della società dall’artista attraversata. Fu il suo grande insegnamento che, se non spiazzò la taratura di un idealismo a lungo impenitentemente presente nella cultura italiana nelle vesti più diverse, lo spinse comunque ad una sua conseguenza cruciale. Argan di formazione non era tanto crociano quanto gentiliano. E infatti la valutazione ideologica assunse per lui spesso un ruolo anche aristocratico, di considerazione essenziale della progettualità dell’opera stessa, e attraverso questa della consistenza del pensiero medesimo dell’artista, a scapito di una più fattuale considerazione fenomenologica del linguaggio artistico nella sua sempre diversa concretezza. [...] Per Argan insomma la storia dell’arte fa parte preminentemente della storia delle idee. E all’individuazione di un contenuto ideologico nel fare dell’artista, del passato quanto contemporaneo, ogni misura di considerazione portata sulla specificità del linguaggio conseguiva a una tale impostazione» (Argan, l’arte delle idee, in «L’Unità», 13 novembre 1992, p. 17).

Antonio Pinelli: «Argan non fu un intellettuale prestato alla politica, un sindaco “fiore all’occhiello”: l’azione politica, l’impegno civile erano la naturale estensione delle sue idee e del suo lavoro di storico dell’arte. […] Da Venturi Argan aveva appreso a saldare passione civile e impegno culturale […] ma aveva anche imparato a far convivere, anzi a far coincidere lo studio del passato, l’indagine storica, con l’azione militante, la critica del presente. […] Tutti conoscono l’acuminata intelligenza con cui Argan disseziona intenti e programmi, significati e moventi dell’opera d’arte. E se non tutti, molti conoscono anche le obiezioni che sono state mosse da più parti a questo modo di far critica, che a volte sembra privilegiare la storia delle idee su quella dei concreti manufatti artistici, la “filosofia dell’arte” sulla conoscenza “materiale” delle opere d’arte. È una critica che io stesso, per certi aspetti del lavoro storico di Argan, mi sento di condividere. Ma per chi, come me, ha avuto la fortuna di formarsi alla sua scuola, queste riserve non offuscano minimamente l’orgoglio e la riconoscenza per aver avuto un maestro che prima e più che una tecnica di approccio all’oggetto dei nostri studi, ci ha insegnato a guardare alle opere d’arte come a pregnanti testimonianze del lavoro e della cultura dell’uomo; testimonianze speciali, certamente, per decifrare le quali occorre saper spaziare con ardimento e riconnettere i mille fili che le collegano a tutte le altre branche del sapere: dalla filosofia alla scienza, dalla storia delle idee a quella degli uomini e della società» (Erede di Venturi, critico con arte, in «Il Messaggero», 13 novembre 1992, p. 19).

Pierre Restany: «Proseguendo sulla linea di Lionello Venturi, Argan trovò nell’arte contemporanea, a partire dagli anni Cinquanta, un terreno ideale di analisi in cui ebbe la possibilità di proiettare pienamente la lezione spirituale e formale dell’arte antica. Il suo rigore costruttivo lo portò a promuovere, all’inizio degli anni Sessanta, ricerche artistiche in tutto il territorio nazionale. Mantenne sempre la sua inflessibile lucidità: i suoi famosi articoli apparsi sul Messaggero nel 1963 illustrarono le aperture ma anche i limiti di quest’estetica di gruppo. […] L’influenza di Argan ha avuto la sua piena dinamicità in ambito progettuale e costruttivo, ove ancora reggono i suoi parametri di giudizio logico e articolato, Argan ha saputo dimostrarsi anche un osservatore acutamente critico nei settori in cui l’arte raggiunge la vita, dal punto di vista della correlazione fra l’esistenza e l’essenza […] Argan era per me un amico e qualcosa di più di un maestro; un punto di riferimento morale, un fatto di principio e di onestà nella mia ricerca intellettuale. Argan non tollerava le approssimazioni e le ambiguità nel pensiero teorico. Ho scritto molte cose pensando a lui e forse questi testi sono i più cari al mio cuore. La perfetta organizzazione del suo cervello non gli impediva di lasciarsi andare ogni tanto al delirio immaginativo, un delirio metaforico s’intende, dove si poteva intravedere, al di là della bellezza del linguaggio, uno sfogo di profonda generosità umana. Di questa grande apertura poetica Argan ci ha lascialo un’ultima traccia monumentale: il suo libro su Michelangelo architetto, vero dialogo, al di là del tempo e dello spazio, dell’autore piemontese con il maestro toscano. Della storia dell’arte Argan aveva una visione totale, sintetica, enciclopedica, e in questo umanesimo multiforme l’architettura, il design e l’arte avevano le loro giuste, naturali e poetiche funzioni» (Giulio Carlo Argan uomo del suo tempo, in «D’Ars», a. XXX, n. 137, autunno 1992, pp. 6-7).

Angelo Trimarco: «L’interesse per il Moderno e i rapporti fra modernità e arte contemporanea sono, senz’altro, lo snodo intorno al quale Argan ha costruito un lungo, ininterrotto, racconto: un racconto nutrito non soltanto di artisti e di opere ma di idee e trame filosofiche, di tensione morale e slanci vitali. Di questa complessità Argan è stato, fino all’ultimo, testimone e protagonista: intransigente, e, insieme, comprensivo delle posizioni altrui, tollerante ma fermo nel credere che i valori della ragione sono ancora attivi e fecondi. Capace, comunque, di tornare a discutere le sue stesse scelte quando uno spiraglio si riapriva. […] Perciò ha potuto anche confessare senza pudori: “Con quell’idea essendo vissuto, spero di arrivare alla fine dei miei giorni sempre fermamente persuaso che nulla al mondo è, in sé, razionale, ma nulla c’è di tanto irrazionale che il pensiero umano non possa razionalizzare”. Dove razionalizzare non signifIca, per Argan, imprigionare in formule rigide lo scorrere dell’immaginario e i suoi segreti percorsi. Significa (ha significato), piuttosto, cogliere nessi, stabilire relazioni, intrecciare corrispondenze, avviare incontri solidali fra le strutture del pensiero e le rappresentazioni culturali. L’arte e il pensiero non vivono in mondi separati e distanti ma s’incrociano e si attraversano nel movimento rapido e crudele della storia. In questo senso l’arte come il pensiero sono produzioni storiche, esposte come ogni altra attività alla vita ma anche alla morte. La morte dell’arte non è altro, alla fine, che il declino di una modalità dell’agire umano […] La difesa dei valori e della ragione contro la barbarie dell’irrazionalismo (che temeva prossima), nella vita del pensiero come in quella dell’arte, è stata la sua ultima, lucida, sfida che egli ha giocato. In difesa della ragione ma non del dogmatismo, della storia ma non dell’incerto passato e della tradizione sterile» (Il gran narratore dell’arte italiana, in «Il Mattino», 13 novembre 1992, p. 14).

 

 
       
       
       
       
       
 

 

   
       
       

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