Un dizionario per citazioni
Argan in 54 voci
Assemblee in fabbrica
Autorità
Barocco
Bisonti
Bottai
Capire
Chiesa
Civiltà morta
Croce, Benedetto
Coerenza
Estate romana
Etiopia
Expertises
Filosofia
Freud, Sigmund
Giudizio
Idealismo
Impegno pubblico
Irrazionale
Laica, arte
Lavoro
Longhi, Roberto
Longhi/Venturi
Marx, Karl
Metodologie
Mercato e storici dell’arte
|
Moderno
Montini, Giovanni Battista
Musei
Natale di Roma, 2731
Oggi, arte d’
Ojetti, Ugo
Olivetti, Adriano
Panofsky, Erwin
Pio XII
Primo saggio
Problema
Razionalismo
Roma
Romano d’elezione
Scienza/potere
Senza opera d’arte
Servizio di leva
Sessantotto, il
Sistema tecnico delle arti
(fine)
Siviero, Rodolfo
Storia della città
Storia
Storicismo
Toesca, Pietro
Venturi, Adolfo
Venturi, Lionello
|
Assemblee in fabbrica: Ho chiesto [agli
operai] di scusarmi se parlavo loro come un professore; ma lo sono da
quaranta anni e non so fare altro.
Autorità: In tutta la mia lunga strada di
lavoro, mi sono sempre sforzato di eliminare radicalmente, come
principio di metodo, ogni a priori metafisico, cioè ogni postulata
autorità divina.
Barocco: I Papi tentano il rilancio di un
artigianato tutto immaginazione; è il modo di riempire il mondo di
immagini suggestive, splendenti, edificanti. L’immagine che già col
Tasso diventa immagine «pesante», a forti contrasti, tintorettesca, non
più l’immagine leggera e variopinta dell’Ariosto, è un’immagine di cui
si porta la responsabilità morale, con cui si prega o si pecca.
D’immagine ci si salva e ci si danna.
Bisonti: Sono di quelli che si illudono
ancora di non essere diventati bisonti, dirò citando Ionesco.
Bottai: Ha sempre appoggiato l’arte moderna,
a volte in netto contrasto con la linea ufficiale, specialmente con
Farinacci. Eliminò Ugo Ojetti dalla carica di presidente del Consiglio
Superiore. Appoggiò, come contraltare del Premio Cremona (Farinacci e
Ojetti) il Premio Bergamo, dove furono premiati artisti che certo non
erano in odor di santità, come Mafai, Guttuso, Birolli. E nominò
professori di Accademia i migliori artisti italiani: Casorati, Paulucci,
Guttuso, Manzù, Marino Marini, Carrà. Credo che queste cose vadano
ricordate.
Capire: E al mondo non c’è niente di più
bello che capire. C’è chi mi rimprovera di avere qualche volta cambiato
parere. Per fortuna: se oggi pensassi come dieci anni fa mi vergognerei,
dieci anni perduti.
Chiesa: Non sono credente. La Chiesa, per
me, è una grande istituzione, che ha una genesi e una dimensione
storiche di cui non si può non tenere conto, ma con cui si può avere un
rapporto non fideistico.
Civiltà morta: Come storico dell’arte, mi
occupo di cose di una civiltà morta. Quarant’anni fa, quando ho
cominciato, effettivamente quei fenomeni continuavano: Matisse era
allora un mio contemporaneo, oggi non lo è più. Indubbiamente, ho
vissuto l’esperienza della contemporaneità, oltre che dell’incontro
personale, con Matisse, Picasso, Le Corbusier, Gropius, Wright... Ecco,
quando dico che quella civiltà è una civiltà morta non dico affatto che
la civiltà di domani non avrà la sua componente estetica. L’avrà di
certo, non ne dubito; o magari ne dubito, ma non lo dico. Però, se
l’avrà, sarà con caratteri del tutto diversi da quelli di oggi. E a
determinarla non saranno le tecniche che chiamiamo artistiche.
Croce, Benedetto: Eravamo tutti crociani, e
non mi rammarico di esserlo stato. Ho conosciuto Croce, l’ho ammirato:
il suo pensiero chiaro come un cristallo, ed esposto con tanta civile
eleganza, ha avuto un’importanza enorme nella mia formazione. Sono grato
a Croce (e a Venturi; ma anche Venturi era crociano) per avermi
insegnato a odiare ogni dogmatismo e a fare, sempre, della critica...
Con l’immenso rispetto che avevamo per lui, vessillo dell’antifascismo
intellettuale, Croce ci apparve, quando scoppiò la guerra, come un don
Ferrante morto di peste negando la peste.
Coerenza: Nella mia lunga esistenza di
studioso mi sono occupato un po’ di tutto: pittura, scultura,
architettura, design, antico e moderno, urbanistica, metodologia,
politica culturale. Non fu eclettismo né versatilità, per quella
mobilità d’interessi non credo di meritare né elogio né biasimo: volendo
seguire il corso di un pensiero espresso in immagini, bisogna pur
coglierlo là dove, spesso imprevedutamente, emerge e si mostra. Non
provo alcuna vergogna a dire che, a me critico, non tanto l’arte
interessava quanto la critica: le opere d’arte erano, per me, gli
oggetti che meglio si prestavano a fare critica, proprio perché, non
essendo in sé razionali, potevano e dovevano essere razionalizzati per
sussistere e valere in una cultura che era fondamentalmente razionale.
Ecco perché ho sempre cercato la coerenza non nelle cose, ma nel
pensiero che le pensava.
Estate romana: Un’operazione intelligente e
spregiudicata, che è stata per la pigra cultura romana come una doccia
fredda. A parte l’interesse, la tempestività, l’attrattività della
manifestazione, quel tipo di uso della città era un’interpretazione
della sua crisi. Di crisi si può morire, ma intanto si vive. L’Estate
romana, e Nicolini lo sapeva, era come un quadro di Ensor: allegro con
risvolti tragici, anche agghiaccianti. La gente si divertiva ma non
sapeva che cosa ci fosse sotto.
Etiopia: Ricordo una sera del ’36 in cui ci
trovammo a cena io, Brandi, Ragghianti e Antonino Santangelo, tutti
storici dell’arte; parlammo fino a tarda notte del senso di colpa di
fronte alla gratuita aggressione perpetrata dal fascismo.
Expertises: Non impediamo agli studiosi
di fare le expertises, le facciano pure, ma a una condizione: che ogni
tre mesi si pubblichi un bollettino di tutte le expertises, con foto e
testi fatte dai vari studiosi. Se si fa il mercato come ricerca e il
fine è la conoscenza, perché non pubblicare i risultati? Se le
expertises sono fatte onestamente, non si deve avere alcun timore e
grande sarebbe il vantaggio per gli studi. Strano, non c’è stato nessuno
che abbia detto di sì.
Filosofia: Indubbiamente, io non sono un
filosofo; m’interesso molto di filosofia ma non sono un filosofo. Mi
servo delle filosofie del mio tempo in quanto mi permettono di spiegarmi
il fatto artistico.
Freud, Sigmund: Il freudismo ha aperto non
solo all’arte una fenomenologia, non più dello spirito, ma
dell’esistenza; ha eliminato ogni categorizzazione o classificazione; ha
nobilitato pericolosamente il Sosein husserliano, allineando l’inconscio
all’eidetico; ha messo in crisi la storia, dimostrando la non-gerarchia
e l’occasionalità del ricordo; come ha scompigliato il passato, ha reso
più aleatorio il futuro, scoraggiando ogni progettazione. Ha offerto
un’esistenza mille volte più ricca incitando al nominalismo contro ogni
categorismo. Mi rendo conto che il nominalismo e il fenomenismo
illimitati aprono orizzonti sconfinati alla cultura, anzi all’esistenza.
Ma non posso nasconderti che, rendendomi conto dell’enorme importanza
della grande dis-inibizione che comincia con Duchamp, rimango e rimarrò
fedele fino alla morte all’opposta «riduzione» razionalistica di
Mondrian. E’ molto probabile che abbia torto, ma ne faccio un punto di
onore. Quando mi si offre la più ampia «liberazione» ammonendomi che
legittima anche il fideismo e magari il fanatismo, penso che il mio
vecchio, logoro, contestato razionalismo mi inibisce proprio questo, il
fideismo.
Giudizio: La critica d’arte è la reazione
ad un evento - l’opera - che accade sotto i nostri occhi. Comunica
notizie, ma con un’annessa idea del valore. Tutti sappiamo che non si
giudica un’opera d’arte se non dopo una prima adesione o repulsione: in
pratica, tutto il nostro processo, è rivolto a razionalizzare quel primo
movimento: abbiamo davanti a noi un dato che è stato fatto apposta per
suscitare in chi guarda un certo tipo di emozione, dopo averla provata
l’analizziamo ed è l’analisi di un rapporto tra un emittente e un
ricevente. Il dato è stato fatto in modo da essere suscettibile di più,
molte, infinite interpretazioni. Noi, con il giudizio, prendiamo atto di
una condizione di libertà che l’opera d’arte ci garantisce. Il giudizio
è infatti un atto di libertà rispetto a un oggetto. Dirò allora che la
struttura dell’opera d’arte, che ci costringe a giudicare, è
liberatoria; la struttura del medium di massa, che ci priva della
libertà di giudizio, è repressiva.
Idealismo: Io vengo imputato di idealismo
e spiritualismo, ma se essere idealisti significa aver letto Kant ed
Hegel, non mi dispiace di venir svergognato come idealista da chi,
manifestamente, non ci ha provato.
Impegno pubblico: Sull’ultima parte della
domanda [il primo, non reticente, impegno pubblico, il primo gesto di
vera e propria milizia, in fondo, essere stato, l’aver accettato la
carica di sindaco di Roma] non sono d’accordo. La carica di sindaco non
è il primo impegno pubblico: anche occuparsi del patrimonio culturale,
anche fare il professore sono impegni pubblici di grande
responsabilità... Non vedo perché gli studiosi non debbano rivestire
cariche pubbliche; accettando di diventare sindaco mi è parso di
affermare il principio che gli studiosi possono e debbono far parte dei
pubblici servizi, come qualsiasi altro cittadino.
Irrazionale: Non credo che
l’irrazionale sia malattia mentale, vi sono addirittura filosofie
intrinsecamente irrazionali.
Laica, arte: Fu dunque laica l’arte barocca,
tanto spesso incolpata di essere conformista e ipocritamente divota? Fu
laica anche se servì la Chiesa: poteva accadere anche allora che lo zelo
divoto incoraggiasse la religione a convertirsi in politica.
Lavoro: Il lavoro dello Storico dell’arte o
di chiunque si occupi di fenomeni artistici Consiste eminentemente
nell’occuparsi di cose... Non credo assolutamente all’arte come entità
metafisica a cui si debba assicurare una specie di culto continuo da
parte della gente. Non ho mai pensato questo. L’arte è un insieme di
cose, un insieme più esteso e più vasto di quanto la gente non creda.
Compito di chi si occupa dell’arte è dunque di occuparsi di queste cose.
Direi che tale atteggiamento - che un tedesco chiamerebbe del besorgen,
dell’avere a cuore le cose - è congeniale allo storico dell’arte, che è
il solo storico che faccia la storia in presenza di eventi e non solo
attraverso la loro memoria scritta. Infatti, lo storico che scrive di
Piero della Francesca o di Vermeer si trova davanti alle loro opere; lo
storico che scrive la storia di Napoleone non si trova in presenza di
Waterloo; e quei fatti - direbbe il mio amico Cesare Brandi - sussistono
ancora nella loro originaria flagranza. Nella loro originaria condizione
certamente no. Ma la condizione in cui oggi li riceviamo è anche la
documentazione di un percorso compiuto nel tempo, della fruizione che di
queste cose bene o male si è fatta. Ecco il punto che sollecita un
interesse pratico. Noi abbiamo interesse che il mondo attuale seguiti a
fruire di quelle cose, e così pure il mondo di domani.
Longhi, Roberto: Sono stato amico, per
qualche tempo, di Roberto Longhi. Ci si vedeva tutti i giorni, tra il
’39 e il ’41, nell’allora ministero dell’educazione nazionale... I
nostri rapporti si sono poi incrinati, dopo la guerra, a causa della
“Caduta di San Paolo” Balbi Odescalchi, che io avevo indicata come
Caravaggio e che lui aveva attribuito in un primo tempo a pittore
fiammingo verso il 1620.
Longhi/Venturi: Tra Longhi e Venturi
c’era, indipendentemente da altri motivi, un forte contrasto sul piano
metodologico: Venturi aveva sempre di mira la teoria dell’arte, anzi la
storia delle teorie dell’arte, gli avversari lo accusavano di amare più
le loro idee che le opere d’arte; Longhi era il grande, finissimo
conoscitore, intento alla lettura del tessuto storico in cui nasce
l’opera, e inoltre un letterato e uno scrittore di estrema acribia
verbale.
Marx, Karl: Non è marxista questa posizione?
Può darsi, anche perché la concezione dell’arte in Marx giovane è ancora
idealistica e dopo, che io sappia, di arte non si è più occupato a
fondo. Comunque, in fatto di concezione dell’arte, non mi sento debitore
verso Marx: parecchio debbo, invece, alla sua concezione della
storiografia, che ha molto influenzato la mia interpretazione storica
dei fatti artistici.
Metodologie: Noi [storici dell’arte],
abituati a storicizzare in presenza del fatto, possiamo fornire un utile
principio metodologico al mondo che vorremmo fosse in grado di
storicizzare al cospetto dei fatti. Oserei dire che la storia dell’arte
è stata una metodologia pilota anche rispetto ai rinnovamenti della
storiografia più avanzata, come mi sembra sia la scuola storiografica
francese: storia della mentalità e non più Storia dell’ideologia, delle
istituzioni, del potere. La storia dell’arte ha qualche vantaggio,
ammettiamolo, anche perché gioca sull’esperienza visiva. E come vi è
arrivata? Attraverso un processo di analisi storica congiunta con
l’analisi di quelle contrazioni del tempo che si sono andate accentuando
sempre più in seno allo stesso valore dell’opera d’arte. L’opera, che il
classicismo dava per eterna, la si è voluta dapprima temporale, poi
tempestiva, poi addirittura precorrente, e infine consumata prima ancora
di esistere.
Mercato e storici dell’arte: Considero la
collusione con il mercato come una deviazione dalla deontologia di fondo
della nostra disciplina; la quale deve mirare a portare il bene
artistico a contatto con la comunità, mentre il mercato è sempre una
forma di privatizzazione. E la considero contraria, deontologicamente
negativa, quando anche il mercato, cosa abbastanza rara, venga fatto
onestamente. La considero come una defezione, e talvolta un tradimento
perché lo storico dell’arte deve anzitutto occuparsi di cose, avere cura
delle cose e la conservazione delle cose dev’essere fatta nell’interesse
generale.
Moderno: Gli storici dell’arte della mia
generazione la questione del barocco l’hanno veduta nascere, proprio nel
momento decisivo della loro formazione. Se la sono portata dietro per
tutta la vita, e non è finita: oggi si ripresenta, più sfumata, come
aspetto particolare di un problema più vasto e di estrema attualità.
Infatti fu il barocco a inventare la modernità come qualità prima ed
essenziale di qualsiasi prodotto culturale; ed è precisamente questo il
valore che viene contestato per primo da una cultura che si definisce
post-moderna e vuole la crisi dell’intero sistema, anzi dell’idea stessa
di sistema, della cultura umanistica.
Montini, Giovanni Battista: Lo incontrai la
prima volta in Vaticano nel febbraio 1944, quando monsignor Montini
faceva parte della Segreteria di Stato. Motivo dell’incontro fu il fatto
che da un gruppo della Resistenza ero stato incaricato di informare il
Vaticano circa una possibile azione dei tedeschi contro la radio
vaticana: l’incarico mi era stato dato perché, avend’io ricoverato nella
Pinacoteca vaticana le opere che i tedeschi volevano portare al nord,
avevo libero accesso in Vaticano. Le circostanze fecero sì che il
colloquio durasse più del previsto e, divagando, giungesse a toccare la
situazione drammatica del momento. Fui colpito dall’acutezza dei giudizi
dell’allora monsignor Montini.
Musei: Non debbono servire solo a ricoverare
opere d’arte sfrattate o costrette a battere il marciapiede del mercato.
Non avrebbero spazio bastante e non è questo il loro compito. Dovrebbero
essere istituti scientifici o di ricerca, con una funzione didattica
aggiunta; ed essere i piccoli e grandi nodi della rete disciplinare
dell’archeologia e della storia dell’arte. Poche opere esposte
permanentemente, anche nessuna; molto personale scientifico, ma studiosi
aperti e non «conservatori»; molte mostre piccole e grandi, a rotazione,
con il materiale dei musei integrato da prestiti. Nessuna dipendenza da
ministeri e direzioni generali: gestione diretta da parte di uno scelto
personale tecnico-scientifico (ma che tale sia davvero). Modello per
l’uso di quella veramente Gesamtkunstwerk che è la città. In altre
parole: il museo non dovrebbe essere il ritiro o il collocamento a
riposo delle opere d’arte, ma il loro passaggio allo stato laicale, cioè
allo stato di bene della comunità: il luogo in cui davanti alle opere
non si prende una posizione di estasi ammirativa ma di critica o di
attribuzione di valore.
Natale di Roma, 2731: Il Natale di Roma è
l’argomento di un ciclo di affreschi dell’Arpino in Campidoglio,
abbastanza belli, di un’ode barbara del Carducci, abbastanza brutta, e
di innumerevoli sbrodolature rettoriche, insopportabili. La ricerca
scientifica moderna ha provato che Roma non è nata come un’isola di
civiltà in un pelago di tribù barbare... A onore e memoria di quella
ricerca ho fatto modellare da Arnaldo Pomodoro (che ha voluto donarla),
la medaglia che il Comune fa fare ogni anno per il cosiddetto Natale di
Roma.
Oggi, arte d’: Mi sento impreparato ad
affrontare il problema dell’arte di oggi, che non può impostarsi in
termini di valore, giacché proprio i valori e l’idea del valore sono
contestati: e manca una unità di misura che non abbia il privilegio del
valore. Di qui la mia paura, la mia riluttanza a pronunciare giudizi.
Temo che potrei solo dare quel giudizio - e lo so sbagliato - che diedi
una volta, parlando con un giovane artista. A Parigi c’era una mostra di
Jannis Kounellis: un insieme di sacchi pieni di sementi di colori
diversi. A Kounellis ho detto: «Per me, questo tuo lavoro ha un limite:
è così bello che pare un Morandi». Effettivamente, quei colori erano
accordati in modo perfetto: senonché lo scopo non era più quello di
accordare i colori in modo armonico.
Ojetti, Ugo: Ojetti, parlandone da vivo, era
un individuo che mandava lettere su carta dell’Accademia d’Italia con la
timbratura a secco fatta fare da lui stesso: «Il Duce ha sempre
ragione», e scriveva sul Corriere della Sera che in fatto d’arte Pio XII
e Hitler avevano le sue stesse idee.
Olivetti, Adriano: Ero rimasto legato, e
in un certo senso lo sono ancora, all’immagine gobettiana di una
borghesia che fa l’autocritica e ritrova la propria innocenza
illuministica. Di qui, ad esempio, l’interesse che ho avuto per la
pittura inglese. Di qui, il fascino del modello olivettiano del borghese
che sente la responsabilità della propria cultura e agisce con grande
chiarezza critica. Sono stato amico di Adriano Olivetti. Una sera lo
incontrai in aereo tra Roma e Torino: avevo saputo della sua candidatura
a deputato. Gli chiesi perché. E lui mi spiegò che un tecnico dev’essere
anche un politico. Anche lui credeva al rapporto tra rigore
professionale e politica.
Panofsky, Erwin: Quell’articolo di un
giovane alle primissime arti [Andrea Palladio e la critica neoclassica
del 1930] venne letto da Panofsky, allora professore ad Amburgo -
incredibile, vedi com’era civile la gente, allora? Panofsky, venuto per
i suoi lavori a Torino, suonò alla porta di casa mia. Mi trovai davanti
un signore dall’accento straniero che mi chiese se l’autore del saggio
fosse mio padre. Gli dissi che ero io. «Ah, bene, sono Erwin Panofsky».
Rimasi di sale. Poi lo accompagnai in giro per Torino e diventammo molto
amici. Indubbiamente, questo incontro con uno studioso che per me era un
mito - ma che viene da Amburgo a Torino e va a conoscere un ragazzo alle
prime armi - fu una lezione indimenticabile: la humanitas del grande
studioso, per il quale tutti i cultori di una disciplina sono colleghi,
stretti da un patto di amicizia come gli artigiani medievali. Ma è tutto
cambiato: dov’era un’accademia platonica oggi è un nido di vipere.
Pio XII: Pio XII decise di fare un discorso
all’apertura della mostra centenaria dell’Angelico, nel 1955 e poiché
quella è gente seria si fa portare tutta la bibliografia sull’argomento
per documentarsi, e capisce subito che interpretare l’Angelico
laicamente come un politico-religioso era anche dal suo punto di vista
più importante che rappresentano come un imbambolato in attesa di
visioni celesti. Tutto il suo discorso all’apertura della mostra
dell’Angelico in Vaticano è praticamente una recensione del mio libro.
Primo saggio: Una volta, durante un
seminario, mentre si discuteva io avanzai l’idea che Palladio fosse in
architettura il parallelo di Veronese. Venturi ci pensò su e poi disse:
«Non l’ha mai detto nessuno. Adesso lei ci riflette sopra e mi fa
un’esercitazione». Io ci riflettei, andai anche a Vicenza con un treno
popolare dalla mattina alla sera della domenica, e alla fine presentai
l’esercitazione a Venturi. Lui la prese e disse «Bene, la discuteremo
venerdì prossimo». Arriva il venerdì, ma Venturi non mi chiede nulla e
passa a un altro allievo. Io non avevo animo di ricordargli
l’esercitazione, pensavo che non ne volesse parlare perché la giudicava
talmente insufficiente da non meritare neppure di essere presa in
considerazione. Alla fine mi feci coraggio e gli chiesi timidamente che
cosa pensasse del mio lavoro. «E’ già in tipografia. La pubblico
sull’Arte».
Problema: Per me un dipinto di Giotto non
è un problema del Trecento; è un problema mio, di uomo di questo secolo;
Michelangelo, Botticelli, Leonardo, Tiziano, chi vuoi, sono tutti
problemi contemporanei, nostri. Ci emozioniamo davanti alle loro opere,
ne siamo turbati, sono problemi attuali; quale fosse il problema loro,
forse non sapremo mai. Vedi, ricordo una conversazione che ebbi con
Gropius. Mi disse: «Io avrei voluto pensare tutte le cose che lei mi ha
attribuito, ma non le ho mai pensate». Io ho risposto: «Caro Gropius,
non me ne importa niente; mi importa che Lei le abbia fatte pensare a
me». La nostra funzione è quella di capire che tipo di problema siano
Leonardo, Michelangelo, Giotto, il Romanico, il Gotico, il Barocco,
quello che vuoi, per la nostra cultura.
Razionalismo: Sì, d’accordo, la
razionalità non è tutto, ma da razionalista sono vissuto e da
razionalista voglio morire. Con quell’idea essendo vissuto, spero di
arrivare alla fine dei miei giorni sempre fermamente persuaso che nulla
al mondo è, in sé, razionale, ma nulla c’è di tanto irrazionale che il
pensiero non possa razionalizzare.
Roma: Roma è in decadenza da sempre, o quasi:
sono quasi duemila anni che vive nel ricordo e nel rimpianto del suo
passato. Però, fino alla presa di possesso da parte della borghesia
capitalista, Roma ha saputo decadere con dignità e perfino con stile.
Non conosco una città che sappia peggiorare meglio di Roma. Immagini che
cosa saranno Brasilia o Chandigar fra tre o quattrocento anni?
Romano d’elezione: Avendo vissuto per
vent’anni a Torino e per cinquanta a Roma, sono per un quarto piemontese
e per quasi tre quarti romano. Amo certamente più Roma che Torino, anche
perché quasi tutti i miei affetti e le mie amicizie sono a Roma. Essendo
romano il mio ambiente, mi considero romano anch’io: un romano che fino
a vent’anni è stato torinese. Aggiungo che i miei studi gravitano in
gran parte sul tema di arte-città: se c’è una città dove l’identità è
evidente, è Roma. Sarei ingrato se non dicessi che Roma mi ha dato assai
più illusioni (di illusioni si vive) che delusioni (di delusioni si
muore).
Scienza/potere: Il giusto rapporto tra
scienza e potere sarebbe che la scienza indica un’esigenza e il potere
vi adempie perché è saggio agire secondo la scienza e perché, così
facendo, si politicizza nel senso giusto il sapere scientifico.
Senza opera d’arte: Il critico ha veramente
bisogno dell’opera d’arte per fare il suo lavoro di critico d’arte A un
dato momento, non più... Il critico d’arte ha sempre davanti gli oggetti
del suo studio, e avviene che, ad un certo punto, uno di questi oggetti
sorprende la sua coscienza. Sorpreso nella coscienza, considera questo
oggetto nel suo sorprendere la coscienza, anzi causa di una
modificazione del suo stato di coscienza. A un certo punto, lo studio
verte più che altro su come si è mossa o su come si muove la coscienza.
Come procede la coscienza nel predisporsi a un impatto di ordine
estetico? Si prepara a ricevere uno stimolo ad agire. Detto
semplicemente, non è altro che il salto che osa lo storico politico
allorché diventa politico militante, ed agendo sul presente e non più
sulla memoria, si trova a fare la politica come storia contemporanea.
Con ciò si vede anche che tutto può essere concesso allo storico fuorché
di essere, politicamente, un equidistante, un obiettivo, un agnostico.
Ma gli storici, peccato, non sono dei lettori di Baudelaire.
Servizio di leva: Fin dal viaggio di
Telemaco alla ricerca di Ulisse nelle tante isole dell’Egeo, la città è
stata considerata un poderoso e necessario fattore educativo. E un
accumulo di cultura, ma anche mia straordinaria sorgente di esperienze
umane... Sarei felice di veder sostituito il servizio di leva con un
periodo di soggiorno nelle grandi città, obbligatorio per tutti, ragazze
e ragazzi. Facciano quello che vogliono: vadano in biblioteca, nei
musei, a visitare monumenti, a passeggiare tra la gente, a ballare, a
fare all’amore, ma nel mare grande, nello spazio aperto della città.
Sessantotto, il: Solo un presuntuoso o
un superficiale non sarebbe stato messo in crisi dal ’68; purtroppo
molta gente non è stata messa in crisi ed è andata avanti come se niente
fosse accaduto. L’indifferenza dello Stato di fronte alla rivolta
studentesca è stata totale, catafratta: nemmeno si fosse proposto di
provocare il peggio, com’è accaduto.
Sistema tecnico delle arti (fine): Allorché
penso l’arte come componente di una civiltà che si è chiusa, mi
riferisco al sistema tecnico delle arti in relazione con gli altri
sistemi tecnici di produzione. La questione a cui una parte di noi
storici dell’arte oggi lavora è quella di sapere se e in quale misura i
sistemi tecnologici moderni, che sono i sistemi dell’informazione e
della comunicazione, dato che siamo passati dalla tecnologia degli
oggetti a quella dei Circuiti, avranno, o no, una componente estetica.
Questo è quanto si cerca non solo di accertare, ma anche di fare in modo
che avvenga, perché gente che sia stata privata degli impulsi creativi e
la cui immaginazione sia immobile è gente alienata. Credo che sarai
d’accordo, oggi è difficile pensare che un pittore con tavolozza e
pennelli possa creare capolavori paragonabili a quelli di Tiziano o
Cézanne. Come sistema di tecniche legate al lento e personale rapporto
lavoro artigianale, l’arte ha certamente finito di esistere.
Siviero, Rodolfo: Un uomo verso il quale lo
Stato italiano ha un grande debito che non ha mai pagato e finge tuttora
di ignorare. E’ penoso dirlo, ma quello che ha recuperato l’ha
recuperato malgrado l’ostruzionismo e talvolta l’aperto fastidio delle
autorità italiane.
Storia della città: Le arti, per
le culture fondate sull’economia dell’artigianato, sono costitutive
della città: sono le tecniche alte, miranti al continuo superamento di
sé e all’egemonia sulle concorrenti. Il solo luogo a cui tutte
convergono e in cui fanno sintesi è la città. Per studiare l’arte
bisogna partire dalla città invece che dall’arte, così come Goethe, per
studiare i colori, è partito dall’occhio invece che dalla luce. Se
l’arte è la città (l’inverso chiederebbe un discorso più lungo), lo
storico dell’arte è lo storico della città.
Storia: La storia è critica e il potere non
l’ama.
Storicismo: Arrivato ormai ai
settant’anni, continuerò a battermi per quella linea storicistica, un
po’ come quei vecchi gentiluomini che si battevano per l’onore della
Regina, sapendo benissimo che era andata a letto col cocchiere.
Toesca, Pietro: Aveva visto tutto, sapeva
tutto. Con me, quando giunsi da Torino nel ’31, fu generosissimo: benché
non fossi allievo suo, ma di un collega diversamente orientato, mi volle
vicino a sé, mi fece suo assistente.
Venturi, Adolfo: Era il padre di
Lionello, ed ebbe per me quell’affetto pieno di tenerezza e privo di
severità che hanno i nonni per i nipoti.
Venturi, Lionello: Il mio primo e
grande maestro, un uomo che ammiro, a cui ho voluto bene, la cui memoria
è un culto per me; ma anche un uomo la cui opera critica considero più
importante di quanto da molti non si voglia ammettere; ed una figura
umana moralmente esemplare.
_______
a cura di Bruno Contardi
Questo dizionarietto
di citazioni è stato pubblicato per la prima volta in “Vernissage”
[speciale in morte di Argan] inserto de «Il Giornale dell’arte», a. X,
n. 106, dicembre 1992, (pagine non numerate). La maggior parte delle
citazioni sono tratte dalle interviste ad Argan di Mino Monicelli (Roma,
Editori Riuniti 1979), di Tommaso Trini (Roma-Bari, La/orzo 1980) e di
Rossana Bossaglia (Nuoro, Ilisso 1992).